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Visita all’Eremo di San Bartolomeo in Legio

Viaggio tra le rocce del Parco nazionale della Maiella, alla scoperta dell’Eremo di San Bartolomeo in Legio, nel territorio di Roccamorice.
Facciata Eremo di San Bartolomeo in Legio Foto: Michele Di Mauro
Facciata Eremo di San Bartolomeo in Legio Foto: Michele Di Mauro

Visita all’Eremo di San Bartolomeo in Legio, tra le rocce della Maiella. In un angolo di incantevole Abruzzo, a riparo dalla frenesia quotidiana e dall’inquinamento, è situato un antico rifugio, un luogo dove pace e natura sono avvolgenti. Nel cuore della Maiella, a Roccamorice, il romitorio ospitò Pietro da Morrone, passato alla storia come Celestino V, Papa.

Eremo di San Bartolomeo in Legio, la storia

L’ambiente incontaminato che circonda l’eremo è mozzafiato, eppure, non è meno intrigante della sua storia. La grotta dove sorge la struttura, inserita nel costone calcareo e perfettamente fusa con la roccia, ospitava l’uomo già da tempo ben risalente ed il futuro Papa, in cerca di un luogo dove praticare l’ascesi e ritirarsi in preghiera, operò un restauro del romitorio. Qui, egli si dedicò ad una vita religiosa, in costante dialogo con la propria interiorità.
La costruzione originaria è ritenuta precedente all’anno Mille, ma solo nella seconda metà del Milleduecento Pietro da Morrone si stabilirà tra i monti abruzzesi, vivendo due anni nell’Eremo di San Bartolomeo in Legio. Il futuro Celestino V, infatti, di rientro dal viaggio compiuto per dare vita alla sua congrega, si concesse un periodo di profonda meditazione.

Visita all’eremo

Il percorso si snoda attraverso una zona del Parco Nazionale della Maiella dalle tinte intense, qui la natura non ha padroni e prospera nel rispetto che le si deve. La visita dell’Eremo di San Bartolomeo in Legio è un’attività che richiede scarpe buone, il sentiero è facilmente percorribile sino alla metà, poi si fa più impegnativo. Si tratta di un tragitto non faticoso, ma che va affrontato con attenzione, specie nelle battute finali, quando la discesa si fa più ripida ed è necessario mantenere la giusta concentrazione tra gli scalini rocciosi. La via è ben tracciata, non si corre il rischio di perdersi, ma in condizioni di forte umidità o pioggia, è bene prestare attenzione ai (pochi) punti scivolosi.

L’eremo celestiniano è una piccola quanto accogliente costruzione, la cui semplicità sin da subito chiarisce la propria vocazione. Il rifugio spirituale affascina e cala in un’ambiente di vera serenità, tutt’attorno lo sfondo naturale non lascia intravedere la mano dell’uomo, così lo sguardo si libera e la mente con esso. Nei pochi metri dell’interno, composto dalla cappella e da due brevi locali dove dimorare, l’aria si fa densa di una pacifica concentrazione, che invoglia a svuotare l’hard disk interiore, favorendo una concreta riconciliazione con natura ed “io”.

San Bartolomeo in Legio, l’eremo di Roccamorice

La chiesetta è in parte ricavata dallo scavo nella roccia e le sue forme sono semplici, misura nemmeno otto metri di lunghezza e circa la metà si apre in larghezza, giusto quel che serve per occupare la balconata che si estende nella parete calcarea. La vista da entrambi i lati dell’affaccio lapideo è mozzafiato, l’Appennino Abruzzese con i suoi colori e la flora inalterata rapisce l’occhio e strega l’anima.

L’eremo si raggiunge da alcune diverse scalinate, una delle quali porta ad attraversare un suggestivo cunicolo nella pietra, ed a prima occhiata lascia un sorriso di benessere sul volto; la facciata reca tracce di affreschi, tre scene di cui sono leggibili solo parzialmente due. Quella centrale rappresenta un Cristo Pantocratore, benedicente verso il pellegrino che sta per varcarne la soglia. La chiesa ospita un dipinto di San Bartolomeo, a cui è dedicata, con una particolarità: il Santo è raffigurato con un pugnale nella mano. L’iconografia riporta la circostanza della morte dell’Apostolo, che subì il martirio e lo scorticamento.

Tra le rocce della Maiella

Il mosaico paesaggistico del Parco nazionale della Maiella spazia dai boschi alle piane di prato alpino, dalle vallate alle cime che nelle stagioni fredde si coprono di vellutata neve. E’ una festa di colori appenninici, che durante primavera ed autunno si caratterizzano per la natura che rivive e per le tinte tra giallo, rosso ed arancio degli alberi. L’inverno tra le rocce della Maiella è rigido, ma regala sensazioni che non si dimenticano, mentre l’estate consente un maggiore accesso alle alture.

Il parco, istituito all’inizio degli anni Novanta del Novecento, abbraccia i territori d’Abruzzo che si estendono tra le province di Pescara, L’Aquila e Chieti. Le terre che lo compongono sono magnifiche, l’ambiente è ricco di biodiversità da tutelare e per questo sono state inserite alcune riserve naturali, per preservarne la magnificenza, dalla maestosità montana al fascino delle valli.

Uomo e Natura, parte II – Diario di Viaggio

In effetti, quello tra uomo e natura è un abbraccio senza tempo, antico, la natura accoglie, l’uomo si evolve. Ciò che da un lato pone grossi interrogativi è l’attuale andamento del rapporto, non appare più alla pari, c’è scontro, sopraffazione. Nelle fotografie di sessanta, settant’anni fa si osserva un binomio già spostato verso la presenza umana invasiva, ma c’è una sostanziale convivenza pacifica, mediamente. Certo, fabbriche e opifici hanno deturpato alcuni angoli di paradiso, ma questo può valere anche per i castelli del Medioevo.

Negli scatti di Bresson, di Berengo Gardin, di Salgado, solo per esemplificare, si percepisce un’attenzione al mondo che circonda la vita umana, che tende al predominio in alcuni casi, mentre in altri è in simbiosi. In alcune fotografie di Dorothea Lange, la natura è sullo sfondo e pare un contorno dell’esistenza, quasi solo un fondale. In ciò, si intende il passaggio dalla ricerca dell’armonia con la natura al confino della natura al ruolo di fattore da sfruttare al meglio.

L’amore, la contemplazione della natura nelle fotografie di Ansel Adams, l’idea di natura che ispira e si fa musa, oggi è forse anacronistico, malinconicamente crepuscolare, appartiene ad un’altra era. Uso e consumo dell’ambiente, se mi si passa la locuzione.“. Continua a leggere l’articolo

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