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Castello di Melfi

Famoso per il Concilio di Melfi, il Castello di Melfi è un luogo dove la storia incontra l’architettura e l’archeologia. Sede del Museo Nazionale Archeologico del Melfese “Massimo Pallottino”, è uno dei tesori del potentino, una visita che ad ogni passo colloca il viaggiatore nel passato illustre della Basilicata.
Sarcofago di Rapolla Foto: Michele Di Mauro
Sarcofago di Rapolla Foto: Michele Di Mauro

Castello di Melfi, il gigante arroccato. Il solenne maniero è frutto di secoli di evoluzione ed oggi si erge a testimone della storia del Meridione. Circondato dalle terre di Basilicata, il forte svetta sull’abitato dell’importante centro lucano, di cui è divenuto uno dei simboli. Residenza di Federico II di Svevia, luogo di promulgazione delle Costituzioni melfitane, fu baluardo ed assieme centro della forza del Sud Italia.

Giunti al cospetto del fabbricato, il pensiero corre alle ambientazioni calviniane de Il castello dei destini incrociati, o magari a quelle del viaggio dei due protagonisti in Il nome della rosa, di Umberto Eco.

Castello di Melfi

Il Castello di Melfi è il silenzioso monumento che ci si aspetta di vedere innalzarsi tra le terre sinuose di Basilicata, la perfetta sintesi dello scorrere del tempo. Eppure, per certi versi questo pare arrestarsi difronte al fortilizio, all’apparenza graziato dal fluire dei granelli nella clessidra. Ciò è dovuto, in parte, alla rivitalizzazione che gli eventi – non sempre lieti – hanno reso necessaria.

La ricostruzione di porzioni del Castello di Melfi ha risposto al bisogno di fare fronte alle rovinose vicende sismiche che hanno più volte afflitto il glorioso guerriero di pietra. L’origine dell’incastellamento melfitano è nell’opera di fortificazione delle terre conquistate, in un’ottica di monitoraggio e difesa dei luoghi da parte dei Normanni. La popolazione norrena, difatti, implementò, alle volte costruendo ex novo, talaltre riprendendo irrobustendo e modificandole, le strutture difensive delle aree conquistate. Molto spesso, si nota, le roccaforti sono frutto del perfezionamento e del rafforzamento delle torri longobarde od in alcuni casi di fortificazioni bizantine. Si ritiene che sia quest’ultimo il caso della rocca melfitana. Le torri del Marcangione e dei Sette Venti hanno origine federiciana, così come la cinta muraria, terminata con la signoria dei d’Angiò.

Il Concilio di Melfi

Il posizionamento strategico del paese potentino diede risalto al castello, che giunse ad ospitare il Concilio di Melfi. Sebbene la città della Contea di Puglia ne avesse ospitati cinque ufficiali, l’evento porta il nome al singolare. Si tratta di concili ecumenici, all’interno dei quali il tema che venne trattato fu quello, tutt’altro che semplice, dei rapporti tra signorie normanne e papato. A seguito del Trattato di Melfi, dopo alcuni giorni di incontri, il primo concilio diede vita al Concordato di Melfi. Si assisteva, così, al primo concilio.

Il secondo, quarto ed il quinto ebbero come esito la scomunica, rispettivamente di Roberto d’Altavilla, della città di Benevento e di Anacleto II, passato alla storia come l’antipapa. Con il terzo, invece, venne dato corso alla prima crociata. L’arco temporale dei concili va dal 1059 al 1137 d.C., contando il sesto, quello non riconosciuto dalla Chiesa, bandito nel periodo di compresenza dei due papi Innocenzo II ed Anacleto II (1130).

La struttura del Castello di Melfi

Il Castello di Melfi è costituito da più volumetrie, costruite durante i secoli ed appartenenti a ricostruzioni per motivi sismici. La sua composizione, su cui si impongono le otto torri e dalla pianta poligonale dai lati non regolari, è stata assunta tra Trecento e Settecento. Il corpo di fabbrica principale è costituito da un forte ai cui vertici di pianta, quadrangolare, si ergono le torri difensive. Eretto dai Normanni su di uno sperone roccioso, è databile agli anni tra l’ultima parte del XI e la prima del XII secolo.

Un primo ciclo di ripristini e modificazioni risale ai secoli a seguire, quando le terre un tempo normanne furono conquistate dagli Svevi. Questi resero le torri rispondenti ai canoni di resistenza ai migliorati arsenali offensivi ed incrementarono i volumi del castello. Le altre torri portano la bandiera francese degli angioini, ai quali si deve lo stato strutturale ultimo dell’incastellamento. Nonostante gli avvicendamenti di proprietà, la conformazione rimarrà tale, ma con una importante trasformazione.

Oggi l’imponente facciata mostra parte delle mura e le due torri anteriori comunicano fierezza, in particolar modo il “baluardo dell’orologio”, così chiamato per la presenza di un segnatempo. Il Castello di Melfi, a partire dal XIV secolo fu oggetto di rinnovamento, in special modo interno, operato al fine di rendere più confortevole il soggiorno. La dismissione dei panni militari lasciava, dunque, il posto ad una più mite mansione di residenza nobiliare e centro del potere locale.

Il Museo Nazionale Archeologico del Melfese

I numerosi reperti rinvenuti durante le campagne di scavo dello scorso secolo raccontano ogni giorno la storia dei luoghi, infaticabili nel loro compito. Tramandare la conoscenza, guidare le nuove generazioni verso il sapere antico e dare loro la possibilità di cambiare il futuro attingendo alle lezioni del passato. La missione del Museo Archeologico Nazionale del Melfese “Massimo Pallottino” è assoluta rilevanza. Nelle sale del Castello di Melfi sono contenuti secoli di evoluzione, documentata dalle raccolte presenti, che aprono una finestra sulle popolazioni che vissero in Basilicata.

Un piacevole alone di mistero avvolge uno dei reperti visibili nell’esposizione: il Sarcofago di Rapolla. La marmorea sepoltura deve il suo nome al paese dove venne trovato nella metà dell’Ottocento ed il chiarore della pietra, magistralmente scolpita, affascina lo sguardo.

Il Sarcofago di Rapolla, la cui realizzazione si attesta sugli ultimi decenni del II secolo, è un’opera d’arte, un omaggio alla donna che qui trovò eterna dimora. Ella, donna di aristocratico rango, rimane ad oggi ignota.

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